OSSERVATORIO TEORETICO

 

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"Ultima Cena"  (Installazione). I dodici apostoli in una reazione comune 1 fase-2 fase. Dimensioni reali. Contenitore, 12 fili di ferro, frattaglie, vomito. 1998-2000© 

L'installazione "Ultima Cena" nasce dalla necessità di portare alla luce quella dimensione del sacro che le rappresentazioni tradizionali hanno progressivamente rimosso: la reazione fisica al dolore emotivo come manifestazione autentica dell'esperienza spirituale. Il vomito contenuto nel barile centrale non è provocazione gratuita ma dato fenomenologico che rivela l'interconnessione profonda tra corpo e anima, tra sofferenza spirituale e manifestazione somatica. Quando il dolore emotivo raggiunge la sua intensità massima, il corpo reagisce con un atto involontario di espulsione: il vomito rappresenta l'impossibilità dell'organismo di trattenere, di metabolizzare un'esperienza che eccede le sue capacità di elaborazione. È il momento in cui la distinzione cartesiana tra res extensa e res cogitans collassa, rivelando l'unità psicosomatica dell'essere umano. L'installazione materializza questo processo: i dodici fili di ferro che si irradiano dal contenitore centrale verso i muri perimetrali rappresentano non solo gli apostoli ma le linee di forza del dolore che si propaga nello spazio, trasformando l'ambiente in un campo di tensione emotiva.

La presenza fisica del vomito nel barile costituisce una reduction fenomenologica al contrario: invece di eliminare il dato empirico per cogliere l'essenza, elimina le sovrastrutture estetiche per restituire l'esperienza religiosa alla sua dimensione più immediata e carnale. Il riferimento all'Ultima Cena non è casuale: rappresenta il momento in cui il dolore della separazione imminente si fa fisicamente insostenibile, quando l'annuncio del tradimento e della morte trasforma la comunità dei discepoli in una comunità del dolore. L'olfatto, senso più primitivo e meno controllabile razionalmente, diventa qui strumento di partecipazione involontaria all'esperienza del dolore. Non è possibile "non sentire", non è possibile mantenere quella distanza critica che l'educazione estetica normalmente garantisce. L'opera costringe a una communitas del disagio che azzera le gerarchie culturali e sociali: di fronte all'odore di decomposizione, tutti i presenti diventano corpo che reagisce, indipendentemente dal loro capitale simbolico o dalla loro preparazione intellettuale.

La seconda fase dell'installazione - "la comunione del dolore attraverso l'olfatto" - rivela la dimensione più radicale del lavoro: la trasformazione dello spazio espositivo in luogo di esperienza diretta piuttosto che di contemplazione estetica. Il processo di decomposizione biologica introduce una temporalità che sfugge al controllo dell'artista e dello spettatore: l'opera accade indipendentemente dalla volontà umana, seguendo le leggi biologiche della putrefazione. È qui che emerge la dimensione più profonda del sacro: non come costruzione culturale ma come evento che si impone nella sua necessità naturale. Santa Teresa d'Avila, nel descrivere la sua esperienza di transverberazione, non nasconde la dimensione fisica del dolore spirituale: "Il dolore della ferita era così vivo che mi faceva emettere quei gemiti".

 
 

Ultima cena. Installazione. Contenitore, dodici fili di ferro, frattaglie, vomito. 1998-2000

 
 

L'installazione opera una genealogia dell'arte sacra che collega Caravaggio, Bernini e l'esperienza contemporanea in un'unica linea di ricerca: la necessità di rappresentare il sacro attraverso la dimensione più concreta dell'esperienza umana. Ma mentre Caravaggio utilizzava la metafora visiva dei piedi sporchi e Bernini quella scultorea dell'estasi, qui la metafora diventa realtà: il vomito è vomito, l'odore è odore, la decomposizione è decomposizione. Non c'è mediazione estetica che possa attenuare l'impatto diretto dell'esperienza. Nonostante possa apparire provocatorio, il concetto non lo è: l'installazione restituisce all'arte religiosa la sua dimensione di scandalo nel senso etimologico del termine: skandalon, pietra d'inciampo che costringe a fermarsi, a interrogarsi, a mettere in questione le proprie certezze. Il vomito come manifestazione fisica del dolore emotivo diventa così metafora della condizione umana di fronte al sacro: l'impossibilità di trattenere, di possedere, di controllare un'esperienza che per sua natura eccede le capacità di comprensione razionale. È l'ultima frontiera dell'onestà esistenziale: il momento in cui il corpo dice la verità che la mente non riesce a formulare, quando la reazione fisiologica rivela l'autenticità di un'esperienza che le parole non possono descrivere. L'installazione rivela le contraddizioni profonde di una civiltà che ha rimosso la dimensione del corpo dalla sfera del sacro. In una società che ha medicalizzato il dolore e psicologizzato la sofferenza.

V R

 
 
 

Ultima cena. Installazione. Dettaglio. 1998-2000

 
 
 
 
 

Ultima cena. Installazione. Dettaglio. 1998-2000

 
 

Ultima cena. Installazione. Dettaglio. 1998-2000

 

 

Riferimenti

 
Psicologia Fisiologica

Psicologia fisiologica

L’intero atto del vomito è comandato da un centro nervoso situato nel bulbo. Il vomito è un atto riflesso, un sintomo la cui evoluzione dipende essenzialmente dalla causa, e può aversi in seguito ad emozioni violente, come commozione, eccitazione, impressione, trepidazione, turbamento. O ad influenze psichiche. Sensazioni di ansia dettata dal timore di qualcosa o dalla perdita imminente di qualcuno. Senso di disagio, effetto negativo che in una comunità o una collettività consegue la scomparsa di un suo membro. Visione di cose ed episodi traumatizzanti. Shock da trauma psichico improvviso. Spesso come indizio di rifiuto psicologico. (Treccani).

 

 

Riferimenti storici 1 (Michelangelo Merisi - Caravaggio)

Michelangelo Merisi (Caravaggio 1571-1610) “S.Matteo e l’Angelo  1 versione -1602 c.ca” e “La madonna dei pellegrini - 1604-1606”. L’opera S.Matteo e l’angelo 1 versione venne rifiutata perché definita indecorosa e volgare. Caravaggio piuttosto che rappresentare il Santo come un apostolo forte e vigoroso lo descrive come un umile vecchio analfabeta nemmeno in grado di scrivere. La scena ci mostra un qualsiasi povero contadino con le gambe accavallate in primo piano, i piedi sporchi, callosi e senza aureola in testa. “Perché’ non aveva decoro, ne’ aspetto di santo, stando a sedere con le gambe incavalcate e coi piedi rozzamente esposti al popolo” (Bellori). Atmosfere ben lungi da quelle alle quali la chiesa e la società erano abituate fino ad allora. L’opera venne considerata un vero e proprio scandalo. Offensiva e blasfema nei confronti della chiesa e dei committenti. Anche La madonna dei pellegrini fu ritenuta scandalosa. Caravaggio per rappresentare la madonna decide di utilizzare Maddalena Antognetti, una prostituta. Anche in questo caso i pellegrini vengono rappresentati come contadini. Vengono messi bene in evidenza i dettagli dei piedi sporchi, fangosi e gonfi. La terra che ha reso impresentabili le estremità di questa povera gente è un elemento che viene letto solo in negativo. La sporcizia è legata alla povertà. La Vergine non può essere avvicinata a gente sporca. l’intenzione di Caravaggio, non compresa, non fù quella di provocare. Piuttosto di avvicinare tutti gli uomini a Dio, sia contadini che ricchi. In entrambe le opere la santità non si coglie nell'aspetto esteriore, considerato osceno, bensí nel sentimento interiore di mitezza e di ingenuitá, sintomi di grazia e di fede. Attributi dei santi, non il loro aspetto, sul quale si abusava, al tempo, con esteriorizzazioni retoriche ed eccessive.

Michelangelo Merisi (Caravaggio) “La madonna dei pellegrini - 1604-1606”. Dettaglio

Michelangelo Merisi (Caravaggio). “S.Matteo e l’Angelo 1 versione -1602 c.ca”.

 

 

Riferimenti storici 2 (Gian Lorenzo Bernini)

Gian Lorenzo Bernini(1598-1680) La Transverbazione di Santa Teresa D’Avila - 1652”. Meglio conosciuta come “L’Estasi di Santa Teresa”, descrive la comunione della Santa con Dio. Si tratta di un’unità concettuale che Bernini dispiegò in modo che ogni particolare acquisisse un senso nel suo insieme. «La […] grande innovazione del Bernini nel trattare la trasverberazione, cioè il contenuto sensuale, è stata argomento di una controversia senza fine. La visione di Teresa è stata interpretata anche come erotismo indotto per isteria, e già ai suoi tempi il Bernini fu accusato di avere svilito la trasverberazione riducendola su un piano volgarmente fisico. Un suo contemporaneo lo condannò perché “tirò poi quella Vergine purissima in terra… non solo prostrata (notando anch’egli che non era in ginocchio!), ma prostituita”. Fosse o no Teresa isterica e fosse o no il Bernini volgare, dal gruppo emana un erotismo fisico che i ben intenzionati apologisti hanno torto a negare. Secondo una tradizione millenaria, sorta con il biblico Cantico dei Cantici, i mistici ricorrevano al vocabolario dell’amore fisico nello sforzo di trasmettere agli altri i loro sentimenti: la comunione con Dio è come la comunione con l’essere amato, solo moltiplicata più e più volte. La stessa Teresa sottolineava la componente puramente fisica dell’esperienza. Descrivendo la trasverberazione, afferma che, pur essendo spirituale e non fisica la dolce pena da lei sofferta, anche il corpo vi aveva parte, anzi una grande parte - sono le sue parole. La visualizzazione del Bernini si può spiegare in parte con il racconto di Teresa, estremamente vivido» (Irving Lavin). Essendo umanamente impossibile raffigurare il momento di intensa estasi mistica, l’artista decide di rappresentarla metaforicamente attraverso il momento di piacere assoluto per l’essere umano. L’estasi carnale. L’orgasmo. Infatti la bellezza ambigua e sensuale dei due protagonisti evoca la pulsione erotica. L’amplesso orgasmico. La stessa Santa ne sua “Vita” nel 1565 descrive quel momento di voluttuoso rapimento con queste parole: “In questa visione piacque al Signore che lo vedessi così: non era grande, ma piccolo e molto bello, con il volto così acceso da sembrare uno degli angeli molto elevati in gerarchia che pare che brucino tutti in ardore divino: credo che siano quelli chiamati cherubini, perché i nomi non me ridicono, ma ben vedo che nel cielo c’è tanta differenza tra angeli e angeli, e tra l’uno e l’altro di essi, che non saprei come esprimermi. Gli vedevo nelle mani un lungo dardo d’oro, che sulla punta di ferro mi sembrava avesse un po’ di fuoco. Pareva che me lo configgesse a più riprese nel cuore, così profondamente che mi giungeva fino alle viscere, e quando lo estraeva sembrava portarselo via, lasciandomi tutta infiammata di grande amore di Dio. Il dolore della ferita era così vivo che mi faceva emettere quei gemiti di cui ho parlato, ma era così grande la dolcezza che mi infondeva questo enorme dolore, che non c’era da desiderarne la fine, né l’anima poteva appagarsi d’altro che di Dio. Non è un dolore fisico, ma spirituale, anche se il corpo non tralascia di parteciparvi un po’, anzi molto. È un idillio cos’ soave quello che si svolge tra l’anima e Dio, che supplico la divina bontà di farlo provare a chi pensasse che mento”.

Gian Lorenzo Bernini. “La Transverbazione di Santa Teresa D’Avila - 1652”. Dettaglio.

Gian Lorenzo Bernini. “La Transverbazione di Santa Teresa D’Avila - 1652”.

 


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