OSSERVATORIO TEORETICO

 

La Ripetizione come Differenza: Ontologia dell'Identico. 

La prima performance sul tema della ripetizione risale al 1985. Si intitolava "Il respiro condiviso". L'azione consisteva nel consegnare cinque palloncini identici - stessa forma, stesso colore, stesso materiale - a cinque persone diverse, chiedendo a ciascuna di gonfiarli completamente. Nonostante l'identità assoluta dei materiali di partenza e l'univocità dell'istruzione, le forme finali erano completamente diverse. Ogni palloncino aveva acquisito una morfologia unica, determinata dal respiro, dalla pressione, dal ritmo e dalla gestualità specifica di chi lo aveva gonfiato. Nel 2006, la ricerca fu trasportata sul piano pittorico, realizzando due dipinti con l'intenzione di renderli identici. L'operazione non nasceva da alcuna velleità di riproduzione meccanica - sapevo bene che l'identità assoluta era impossibile - l'obbiettivo era confermare, sul piano della materialità pittorica, ciò che la performance dei palloncini aveva già rivelato: l'impossibilità ontologica della ripetizione identica e, al contempo, la sua straordinaria fecondità generativa. Questo processo trova un fondamento teorico nel concetto kierkegaardiano di ripetizione autentica. Per Kierkegaard, la ripetizione non è mai un ritorno al medesimo, ma un movimento esistenziale che produce il nuovo attraverso la ripresa dell'identico. Nel suo pensiero, ripetere significa "riafferrare" l'esistenza in modo sempre diverso: ogni tentativo di ripetizione è in realtà un atto di creazione che trasforma tanto il soggetto che ripete quanto l'oggetto ripetuto. 

La questione della ripetizione non può essere affrontata con gli strumenti dell'estetica tradizionale, quella che ancora si nutre delle categorie ottocentesche dell'originalità e dell'unicità dell'opera d'arte. Occorre invece penetrare nel cuore pulsante di una contraddizione apparente: come può la ripetizione identica generare differenza? Come può l'uguale produrre il diverso?  L’impossibilità della ripetizione identica trova la sua radice più profonda nella dimensione temporale stessa dell'esistenza. Il tempo, come dimensione fondamentale, modifica continuamente lo spazio in cui avviene ogni atto ripetitivo, rendendo ontologicamente impossibile qualsiasi identità assoluta. Ogni gesto, ogni pennellata, ogni tentativo di riproduzione identica si iscrive in un momento temporale unico e irripetibile che trasforma radicalmente le coordinate spaziali dell'azione. Il tempo non è semplicemente lo sfondo neutro in cui si svolge la ripetizione, ma è la forza attiva che deforma e rimodella costantemente lo spazio dell'opera, impedendo che due momenti creativi possano mai coincidere perfettamente. La trasformazione temporale dello spazio crea quello che potremmo chiamare un "campo di differenziazione ontologica" in cui ogni ripetizione, per il solo fatto di avvenire in un tempo diverso, si inscrive in uno spazio qualitativamente mutato e genera quindi necessariamente un'identità singolare. La decisione di realizzare una serie di dipinti tutti uguali - stesso soggetto, stessi colori, identica composizione - si inscrive in una tradizione filosofica profonda che trova nelle "Defunzionalizzazioni" un precedente teoretico fondamentale: quel processo attraverso cui gli oggetti, privati della loro funzione originaria, acquisiscono nuova morfologia e nuova determinazione ontologica. Per comprendere appieno il significato della scelta ripetitiva, occorre collocarla all'interno di un percorso artistico-teoretico che ha mostrato come la rottura intenzionale della funzione oggettuale generi automaticamente una trasformazione del significato: l'oggetto "A-integro" con significato "B-coerente", una volta compromesso nella sua funzionalità, diventa "A-mutato" e acquisisce una nuova determinazione "C-nativa". Questo processo di trasformazione attraverso la negazione trova un parallelo sorprendente nella pratica della ripetizione identica. Anche qui si tratta di un'operazione apparentemente distruttiva - la negazione dell'originalità, dell'unicità, della novità - che produce invece un effetto generativo. Ogni ripetizione del dipinto è come una "defunzionalizzazione" dell'opera precedente: priva quest'ultima della sua pretesa di unicità e originalità, ma proprio attraverso questa privazione genera nuove possibilità di significato. La ripetizione, come la defunzionalizzazione, è un operatore di trasformazione ontologica. Non si limita a produrre copie, ma attiva un processo di metamorfosi continua in cui ogni opera ridefinisce retroattivamente il significato di tutte le altre. 

Certe pratiche artistiche utilizzano la serialità per riflettere e incorporare la logica della produzione di massa - trasformando l'arte stessa in merce riproducibile e celebrando l'estetica dell'identico - qui la ripetizione pittorica afferma l'irriducibile resistenza del gesto creativo a ogni automatismo. Non si tratta di moltiplicare per diffondere, ma di ripetere per scoprire. Ogni nuovo dipinto non è una copia più o meno riuscita di un originale, ma l'emergere di una singolarità assoluta che si afferma proprio attraverso l'intenzione ripetitiva. È il rovesciamento completo della logica seriale: mentre alcune pratiche assumono la riproducibilità come dato e la esplorano esteticamente, qui si assume l'intenzione ripetitiva per scoprire filosoficamente l'impossibilità della ripetizione. Si sa che i dipinti non saranno identici, e tuttavia si persiste nell'intenzione di renderli tali. Ciò che rende filosoficamente rilevante questa operazione è la consapevolezza di questo paradosso. È precisamente la tensione tra volontà di identità e necessità della differenza che costituisce il nucleo teoretico del progetto artistico. Ogni dipinto si inscrive in una temporalità specifica che ne determina la singolarità. Man mano che si va avanti nella realizzazione dello stesso dipinto, la mano conserva la memoria muscolare dei gesti precedenti, ma questa memoria non si traduce in automatismo meccanico. Al contrario, essa crea un campo di tensione temporale in cui passato e presente si intrecciano in configurazioni sempre nuove. Il ricordo del gesto precedente influenza quello presente, ma non lo determina completamente. Tra memoria e atto si apre uno spazio di libertà creativa che nessuna intenzione ripetitiva può eliminare. La serie si presenta così come una sorta di cronaca esistenziale, una registrazione temporale delle trasformazioni attraverso la pratica ripetuta del medesimo gesto. Ogni opera è un momento a se stante, ed è connessa alle opere precedenti da un filo temporale che le attraversa e le unifica. 

Il filosofo Deleuze ci aiuta a capire questo paradosso: per lui, quando ripetiamo qualcosa, in realtà stiamo sempre ripetendo la differenza, cioè creiamo sempre qualcosa di unico attraverso il gesto che vorrebbe essere uguale. È come quando provi a ricalcare un disegno: ogni volta che rifai lo stesso movimento, esce fuori qualcosa di leggermente diverso, qualcosa che appartiene solo a quel momento. Ogni dipinto non è quindi un tentativo più o meno riuscito di copiare gli altri, ma è il manifestarsi di qualcosa di assolutamente unico. La differenza non è un errore rispetto a un modello perfetto di identità, ma è la forza che genera il nuovo attraverso la ripetizione stessa. Questo rovesciamento concettuale ha conseguenze profonde per la valutazione estetica dell'opera. Non si tratta più di misurare la fedeltà di ogni dipinto rispetto a un originale, ma di cogliere la singolarità irriducibile che ciascuno esprime. La scelta del mezzo pittorico non è casuale, pur non essendo esclusiva. La pittura, più di ogni altra forma artistica, rende evidente l'impossibilità della ripetizione identica. Ogni pennellata o variazione cromatica lasciano tracce materiali uniche. Tuttavia in questa pratica, la resistenza materiale del mezzo non costituisce un limite alla realizzazione del progetto ripetitivo, bensì il suo fondamento stesso. È precisamente perché la pittura si oppone alla ripetizione meccanica che essa diventa il mezzo eletto per esplorare i paradossi filosofici della ripetizione autentica. Tuttavia, questi principi teoretici non si limitano al solo ambito pittorico. La ripetizione come operatore di trasformazione ontologica può estendersi ad altre forme espressive - dalla scultura alla performance, dalla scrittura alla composizione musicale - ovunque sia possibile istituire quella tensione fondamentale tra intenzione ripetitiva e necessità della differenza. Ciascun mezzo espressivo offrirà le proprie specifiche resistenze materiali e temporali alla ripetizione identica, generando così campi differenziali peculiari ma filosoficamente omologhi a quello pittorico. Ogni nuovo ciclo di ripetizione porta con sé il peso temporale del precedente, creando quella che potremmo chiamare una "distorsione estetica e concettuale" analoga a quella descritta nelle "Defunzionalizzazioni". Come la mente continua a riconoscere la morfologia originaria dell'oggetto defunzionalizzato a causa delle informazioni mnemoniche collegate al suo "ex" significato, così l'esperienza della nuova serie sarà inevitabilmente filtrata attraverso la memoria della precedente. In questa prospettiva, ogni opera della serie non va valutata in rapporto alle altre, ma colta nella sua singolarità assoluta. La serie non è una collezione di varianti intorno a un tema, ma una molteplicità di singolarità che si affermano ciascuna nella propria differenza.

V R

Irripetibilità spaziotemporale. 2004-2025©. Acrilico su legno, filo elettrico, porcellana. Cm 115x85x25.

 


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