Art for the masses - Analisi sociologica di Roberto Cipriani (Emerito di Sociologia nell’Università Roma Tre) 

Ho chiesto a Virgilio Rospigliosi di scegliere alcune sue opere che potessero prestarsi meglio ad una trattazione sociologica. Me ne ha segnalate cinque: tre sono intitolate “Galleria d’arte”, le altre due invece hanno la dicitura “Era Caravaggio” ed “Era Van Gogh”. Immagino che l’espressione “Galleria d’arte” si riferisca a tutta una serie di opere contestualizzate al di fuori dei musei ufficiali, per cui ogni luogo pubblico potrebbe prestarsi ad essere appunto una “Galleria d’arte”, raggiungendo così lo scopo prefissato di “Art For The Masses” (AFTM), ovvero arte per tutte e tutti (come evidenziato dalla scritta abbreviata apposta sulle formelle in legno dipinte da Rospigliosi). Di fatto, tutte le opere di Rospigliosi sono altrettante provocazioni, nel senso che suscitano una forte attenzione da parte di chi le guarda e s’interroga sul loro significato. Già l’operazione stessa di presentare un’opera d’arte intrigante, suscitatrice di emozioni ed interrogativi allo stesso tempo, è di per sé un’azione intellettuale di prim’ordine, che merita tutta la considerazione da parte del sociologo, coinvolto nell’interpretazione di quanto l’artista propone e presumibilmente il pubblico percepisce. Insomma, le produzioni artistiche di Rospigliosi non solo non passano inosservate ma inducono ad andare oltre lo sguardo superficiale di un’occhiata rapida e senza alcuna forma di epoché filosofica ed artistica, come arresto di una valutazione superficiale per soffermarsi più a lungo, interrogandosi sul messaggio trasmesso e sulle transizioni-tra(n)sfigurazioni messe in atto. Sì, perché di questo si tratta: passare dal classico al contemporaneo o, meglio, dal contemporaneo ispirato al classico per poi passare ancora una volta a quest’ultimo per ri-significarlo in un altro modo, rendendolo perciò più fruibile da un vasto pubblico, non più solo elitario. Il transito avviene grazie all’espediente inventato da Rospigliosi, che mette a frutto tutto quello che ha appreso dai grandi maestri della pittura, apporta del suo con una venatura ironica e drammatica congiuntamente, aggiunge un’icona tipica della comunicazione digitale quale il QR code e porta per la prima volta o riconduce le masse nei musei e/o nei luoghi di frequentazione quotidiana, al fine di consentire una ri-lettura del tutto in una nuova prospettiva. In pratica, lo spunto-suggerimento predisposto dall’artista contemporaneo è un pre-testo che avvicina le persone all’arte e poi la trasmuta in qualcosa d’altro, ma non per questo meno valido esteticamente e culturalmente. Siamo abituati agli imbrattamenti dei capolavori dell’arte pittorica (ma non solo), però la poetica di Rospigliosi ha qualcosa di più e di diverso, in quanto mette in atto meccanismi di ri-appropriazione delle opere che permettono varie riflessioni ed allargano l’orizzonte mentale verso altre mete, di più largo respiro. Il nostro artista parla di un luogo immateriale come punto di approdo di tutto quanto è stato da lui “armato”. In effetti, l’immaterialità è data dalla non esistenza reale di quanto da lui è stato preparato in forma di artefatto, appunto. Se si va agli Uffizi di Firenze o all’Art Institute di Chicago non si trovano le formelle lignee di Rospigliosi giustapposte sul quadro di Caravaggio o van Gogh, tuttavia chi già conoscesse le opere rospigliosiane non potrebbe esimersi da tutta una serie di ragionamenti sui rapporti fra i due autori ed i loro elaborati d’arte. In pratica, è dopo Rospigliosi che nasce la problematizzazione del tutto, a partire anche dal banale valore di mercato sia dell’una che dell’altra opera. Si realizza, così, un disincantamento dell’opera d’arte riconosciuta come capolavoro e la si ri-contestualizza in un nuovo e diverso frame, che fa da cornice ad entrambi i manufatti artistici, mettendoli in stretta relazione per una loro diversa ed originale re-interpretazione. Il QR code inserito da Rospigliosi a mo’ di francobollo nella sua opera pittorica non ha la stessa funzione reperibile nei musei e nelle gallerie dove esso serve per rintracciare la singola opera mediante l’uso dell’audio-guida o di un altro strumento elettronico. Qui, invece, il codice consente di approcciare la nuova semantizzazione di un dipinto famoso o di un contesto quotidiano. Se il francobollo serve per solennizzare e legittimare un personaggio o un evento e la “pietra d’inciampo”, incastonata come gemma preziosa sul selciato antistante un’abitazione, ha lo scopo di ricordare il sacrificio di persone messe a morte per odio razziale, il piccolo riquadro di grafica elettronica escogitato da Rospigliosi svolge ben più di una funzione: permette un’utilizzazione diffusa a largo raggio, vista l’abitudine a ricorre al QR code in molteplici occasioni; collega l’artefatto rospigliosiano a quello di altri autori celebri; consente il travaso del dipinto appositamente realizzato in epoca contemporanea facendolo attraccare ed attaccare in un ambito diverso sia spazialmente che cronologicamente; accompagna il fruitore dell’opera-suggestione di avvio verso un appiglio costituito dal codice elettronico, tramite essenziale per poter visionare la nuova opera d’arte, come risultato combinatorio di due creazioni differenti. L’operazione di “completamento” è suggerita e messa a punto da Rospigliosi ma in effetti avviene principalmente (questo è l’intento dell’artista, nostro contemporaneo) grazie al pieno coinvolgimento di chi come destinatario finale si appropria del meccanismo traspositivo e ne usufruisce sino in fondo. Fra l’altro, Rospigliosi volutamente ed esplicitamente si apparenta in questo al pittore fiammingo Hubert van Eyck (1366?-1426), autore del celebre polittico dell’Adorazione dell’Agnello Mistico, che si trova nella cattedrale di Gand, in Belgio, e che fu completato dal fratello Jan van Eick (1390?-1441). Orbene, il suddetto apparentamento, palesato anche dal trattino di congiunzione fra Virgilio Rospigliosi e Hubert van Eyck, si può considerare corretto e giustificato se si ritiene che l’inizio del procedimento abbia luogo muovendo da un lavoro specifico di un dato autore, che poi viene portato a compimento da chi gli succede nella produzione. In altri termini, Rospigliosi si può legittimamente identificare con Hubert se si dà per scontato che il tutto cominci da lui. Al contrario, se si ipotizza che il continuatore sia in realtà colui che ha l’intuizione di qualcosa di diverso, anche se connesso all’opera iniziata in precedenza, allora sarebbe preferibile l’immedesimazione di Rospigliosi con Jan, anche per ragioni cronologiche, poiché, per esempio, Rospigliosi è un postero rispetto a Caravaggio e van Gogh e non certo viceversa. Orbene, questa doppia valenza di ognuna delle due identificazioni accresce ancora più la rilevanza e la semantica del procedimento inventato e realizzato da Rospigliosi. C’è, invero, un altro elemento che merita di essere vagliato. Si tratta del rapporto fra opera pittorica ed opera fotografica. Entrambe sono presenti nella proposta estetica di Rospigliosi, ma un conto è il dipinto in quanto tale ed un altro conto è la sua riproduzione fotografica. Le tecnologie odierne, poi, hanno raggiunto un livello di perfezionamento nemmeno immaginabile sino a qualche anno fa, per cui riesce assai difficile distinguere un originale da una riproduzione. Per di più, occorre tenere conto della possibilità di modificare ogni dettaglio di una foto ricorrendo al programma computeristico denominato Photoshop. Ciò detto è evidente che ci si trova, in linea di massima, dinanzi a due composizioni entrambe pittoriche e quindi valide di per sé sul piano estetico. Nel caso di Rospigliosi la sua opera di partenza è sempre un dipinto e mai una foto. Quest’ultima si ha nel caso della riproduzione di un dipinto noto o nella collocazione del lavoro iniziale rospigliosiano in un quadro d’insieme diverso da quello in cui l’opera di avvio è stata realizzata. A mio parere, questa continua interlocuzione tra arte pittorica ed arte fotografica rappresenta un valore aggiunto di quanto preparato ed offerto dal Nostro alle masse. Su tale lemma forse conviene avanzare qualche dubbio critico, giacché le masse sono un insieme indistinto, mentre la fruizione di un’opera d’arte avviene principalmente a livello di singola persona, anche se poi il discorso si allarga facilmente ad una partecipazione più ampia. Lo spostamento dall’una all’altra opera ha luogo prioritariamente a livello spaziale, ma anche la temporalità fa parte della fenomenologia in atto. I tempi esistenziali di Rospigliosi e di Caravaggio e van Gogh non sono i medesimi e neppure quelli dello stesso Rospigliosi nella misura in cui dipinge un’opera in un dato momento e poi la posiziona all’interno di una cornice di vita quotidiana successiva. Dunque, le operazioni sono congiuntamente spazio-temporali (e, volendo, anche corporali). Soprattutto, però, è da enfatizzare l’uso dei tempi verbali che sottolineano la trasformazione in atto o già avvenuta: il dipinto “Era” di Caravaggio o van Gogh, oppure “Non è più di”. Detto altrimenti, Rospigliosi compie una sorta di miracolo: non solo fa “parlare” la sua opera o quella di un famoso artista del passato, ma riesce pure a creare una terza opera “immateriale” che è data dalla connessione fra due lavori differenti. Ed a questo punto la distinzione fra museo o galleria d’arte e mercato tende a cadere, per cui è avvenuto esattamente quello che Rospigliosi auspicava, quod erat in votis

Roberto Cipriani 2024©                                                                  

 


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